MENO ITALIANI SUI NOSTRI CANTIERI ESTERI?

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Purtroppo il settore delle costruzioni, praticamente quasi fermo in Italia con una situazione disperata e disperante (nell’ultimo decennio ca. 750.000, o forse più, persone hanno perso il loro posto di lavoro e ca. 120.000 imprese hanno chiuso la propria attività), è ancora attivo all’estero, dove, però, le imprese hanno ridotto di molto l’impiego di personale italiano a favore di personale locale o di altre nazionalità, naturalmente a costi decisamente più bassi.

Attualmente le posizioni più ricercate fra il personale italiano sono quasi esclusivamente quelle di alta specializzazione e manageriali, salvo qualche professionalità particolare. Alcune prospettive migliori si possono avere in paesi più disagiati e meno sviluppati, dove ancora manca la mano d’opera locale qualificata.

Conseguentemente la domanda di lavoro è enormemente più elevata rispetto all’offerta; infatti per una eventuale posizione lavorativa i candidati selezionabili sono generalmente un numero estremamente elevato.

Per di più le aziende prima, e giustamente, reimpiegano il proprio personale o quello già conosciuto e poi, quando necessario, ricorrono ai candidati esterni, i cosiddetti “del mercato”.

 

Altro fattore negativo per le nostre aziende, in fatto di occupazione di personale italiano, è stata ed è la concorrenza delle imprese di costruzione asiatiche, entrate nel mercato delle costruzioni già negli anni ’80 con costi di esercizio notevolmente inferiori rispetto ai nostri.

Con buona probabilità di essere nel giusto, si potrebbe anche sostenere la tesi che le imprese italiane sono rimaste altamente competitive fino a quando hanno operato in paesi poco evoluti o in fase di sviluppo (centro e sud America, Africa e diversi paesi asiatici) dove, fino all’arrivo delle imprese cinesi e coreane, quelle di altri paesi avevano scarso interesse ad operare in queste aree per molteplici ragioni, tra le quali quelle di carattere tecnico, sociale, politico, economico, etc.

In detti paesi tecnologie e personale italiano primeggiavano, data la scarsità di risorse locali.

Il problema emerse quando le nostre aziende decisero di entrare anche nei paesi ad alto indice di sviluppo e con elevata competitività, dove però il consueto impiego della forza lavoro italiana non era più attuabile a causa dei costi troppo elevati.

Di conseguenza le nostre imprese gradualmente hanno iniziato ad appaltare parte dei lavori a imprese locali o di altre nazionalità, svolgendo i rimanenti lavori, quelli più qualificati e qualificanti, con un limitato numero di espatriati italiani nelle posizioni chiave e coprendo tutte le altre con personale locale, che nel frattempo ha raggiunto un buon livello professionale, a costi decisamente più bassi ed anche perché nei contratti ora, per motivi occupazionali, viene imposta l’assunzione di un elevato numero di maestranze del posto.

 

A questo punto non si rendevano più necessari, con un notevole abbattimento dei costi, anche la costruzione dei villaggi di cantiere strutturati con tutto quanto serviva per permettere ai loro abitanti di viverci senza problemi di sorta. 

Belle case completamente arredate, dotate e rifornite di tutto l’occorrente, supermarket, cinema, club, ristorante, mensa, scuole italiane, banca, posta, ospedale, campi da gioco, auto a disposizione, etc. Tutto questo più o meno a seconda dei vari cantieri. Tante ottime cose. Non mancava proprio niente, come io ben ricordo nei cantieri di Tarbela in Pakistan, Alicura in Argentina, Uribante in Venezuela, Karakaya in Turchia e altri.

 

Così facendo le nostre imprese, negli ultimi 10 anni, hanno raddoppiato il loro fatturato estero e nel contempo si è avuta anche una significativa crescita delle commesse.

Nel frattempo, però, molti dei nostri tecnici di cantiere hanno dovuto o riciclarsi in altre professionalità o cercare lavoro presso le imprese di costruzione straniere, non solo europee, ma anche medio-orientali e asiatiche.

Questa purtroppo è la situazione in atto sui nostri cantieri esteri e non si vedono soluzioni al cambiamento di rotta in fatto di occupazione di personale italiano.

Per salvare l’occupazione non ci resta che sperare, superato il grave problema del coronavirus, nel rilancio delle costruzioni in Italia, anche se è da anni che se ne parla, ma ben poco è stato fatto per poter rimettere in moto questo settore.

 

07.05.2020

 

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Commenti: 2
  • #2

    Dante Salme' (lunedì, 17 maggio 2021 18:21)

    Ho servito alcune imprese italiane negli anni 75-85 in Libia, (intled ora sono in pensione. Mi piacerebbe esserci ancora.
    architetto@dantesalme.it

  • #1

    Claudio R. (venerdì, 08 maggio 2020 00:14)

    Senza ombra di dubbio ritengo che il problema dell'occupazione del ns. personale sui esteri italiani sia quella da lei documentata.